Il romanzo ed il suo autore

Il Romanzo ed il suo Autore

Perché scrivi? Perché si scrive?

 

Togliamoci il pensiero ed entriamo subito nell’ambito dell’inesplicabile, della retorica, così ben tradotta da André Dhôtel come un miracolo universale in cui l’essenziale è qualcosa di invisibile al quale l’essere si abbandona non per scelta, ma per l’immediata necessità di una scrittura”.

La creazione romanzesca sarebbe dunque una lotta nella quale lo scrittore finisce col soccombere, e questa tensione interiore, il bisogno di scrivere, diviene l’atto irrazionale per eccellenza. Il romanziere, dal canto suo, si definisce volentieri come un essere posseduto da personaggi che chiedono di essere messi al mondo e cimentarsi in una storia.

Io stessa, nella mia infanzia di scrittrice, ho l’audacia di affermarlo.

Scrivere è lo strumento attraverso il quale si evade il mondo, lo si interpreta, lo si comprende, guardandolo da fuori e cercando di trovare parole che lo descrivano, parole che ci somigliano e ci rassicurano. Giusto o no – che poi, ditemi, esiste un tribunale di fronte al quale dovrei presentarmi per farmi confermare che il mio sentire è quello corretto? – reale o meno, è ciò che provo quando mi siedo davanti alla tastiera “e inizio a sanguinare”.

È davvero tutto qui? È veramente solo una questione di irrazionale? O c’è dell’altro nel rapporto tra romanzo e autore? E cosa, se è possibile metterlo in luce? Questa attività deve pure avere un senso, bisogna pur dargliene uno. 

 

È esso, il romanzo, una fuga, una forma di rifiuto, e quindi è nella collera o nella rivolta che il romanziere può trovare la giustificazione che serve?
È un modo per far prendere coscienza, permettere l’impegno su un certo argomento, agire per cambiare?

Secondo Bourneuf e Ouellet “Il romanzo appare come lo strumento di una moltiplicazione del suo autore, grazie al quale egli si sviluppa interiormente, crea i suoi personaggi con le infinite direzioni della sua vita possibile. Non soltanto il bisogno di unire alla vita una parte di immaginario, o di rifarla, ma di crearla, costituisce il movente essenziale del romanziere, la sua intenzione. Il romanzo è un sogno estratto dal mutevole”.

Apollinaire lo chiama “un lampo duraturo”.

La difficoltà risiede quindi nel dare forma e significato a ciò che significato non ha: il mondo in cui siamo ed alla nostra stessa vita, al lampo duraturo, al bagliore di un guizzo emotivo. Che sia rivolto verso il suo universo interiore o verso lo spettacolo, il circo, della realtà circostante, lo scrittore tenta di circoscrivere, per comprenderlo, il senso di un enigma e di risolverlo: il romanzo diviene allora strumento di conoscenza. Secondo Apollinaire “il romanziere non è colui che trascina fuori dalla realtà, ma colui che capta, trattiene, fissa questa realtà e soprattutto ne modifica la nostra percezione. Sa sorprendere l’istante in cui la favola comincia in seno alla realtà stessa, in cui la vita banale si trova capovolta”.

Forse, ancora, colui che scrive trae la sua esistenza soltanto dall’atto di scrivere, al di fuori del quale si dissolve. Il presente perciò si accumula su un passato che lo scrittore non riesce ad esaurire attraverso la scrittura e continua, a scrivere, per fuggire.

Che il romanzo sia riflesso, imitazione, traduzione del reale o adesione, lo legga, lo decifri, si riferisce sempre ad una realtà che vive e si genera al di fuori dell’opera stessa, ne è il fondamento. La sola realtà del romanzo è la parola scritta. Poiché la scrittura, per quanto ci si sforzi, è essa stessa ingannevole e incapace di tradurre e riprodurre la realtà. Essa è sempre uno specchio, uno sguardo deformato dalla vista dello scrittore: il frutto di ciò che scrive è di per sé ingannevole.

E allora? Non abbiamo risolto nulla, torniamo al punto di partenza

Perché si scrive? Perché ami scrivere? Che cosa ti spinge “a sostenere la fatica della scrittura?”. Quale pulsione interiore sottende l’intera storia che scriviamo?

 

Non ho il sapere nella tasca destra e la ragione in quella sinistra, ma di una cosa sono certa: non possiamo generalizzare su certi aspetti del rapporto tra romanzo ed autore. Si tratta di un rapporto intimo, vitale, viscerale che come si fa a dargli una definizione, o una misura. Non esiste né definizione né misura.

Esiste qualcosa, dentro, che emerge attraverso le parole, un filo conduttore che seguiamo senza saperlo, perché vogliamo raccontare qualcosa al mondo.

Esso esiste oltre la volontà dell’autore: è la sua interiorità che trova casa nelle storie, che si esprime attraverso il narrato” riporta, con parole esatte, Alessandra Perotti.  Tale rapporto riguarda soltanto me ed il mio modo di vedere e interpretare la vita che mi accade. Allora sì, se la guardiamo da questa prospettiva, il romanzo è ingannevole ma, dal mio punto di vista, chi se ne frega di riportare la realtà. Il più delle volte mi ferisce a morte, preferisco allora guardarla con lenti nuove e vestirla di emozioni più umane.

Ogni romanzo contiene un’urgenza espressiva a cui lo scrittore risponde o tenta di rispondere attraverso la vicenda” continua la Perotti. “Ogni storia riguarda una domanda e non sempre trova la risposta. La scrittura è un mezzo. Ma è anche un sentire che permette di trasmettere la propria visione della realtà”.

Per come la vedo io, il romanzo è un ponte, un agglomerato sensato di parole e similitudini o metafore che richiamano le sensazioni più profonde, attraverso le quali l’uomo può giungere infine dentro di sé. Per vedersi e riconoscersi, aspettarsi, ascoltarsi: ditemi, la realtà di oggi quanto ci permette di farlo?

Allora il romanzo riporta dentro e l’autore è un conducente, il nuovo autista delle storie che accompagna l’essere umano in luoghi a cui tende ed anche teme come se fossero pericolosi.

No, non lo sono affatto. Sono solo, ai più, ignoti.

Essere autore, per conseguenza, significa contribuire a mantenere il contatto con l’essere umano, a mantenerci persone che pensano e sentono e vivono per davvero. Lo scrittore contribuisce, con la sua opera, a riportare bellezza e pace e piacere nel cuore del mondo.

 

Il divenire è una sorta di svuotamento inarrestabile,
solo la narrazione ci salva dal buio della nostra stessa natura.

 

 

Alessandra Ferro Newsletter

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