
02 Ago SCRIVERE UN RACCONTO
Se mi leggi da un po’, sai che su questo Blog non ci sono verità assolute o saperi nascosti che, grazie alla mia innata indulgenza, decido di regalare per mostrare la mia autorevolezza su un certo tema.
Se mi leggi da un po’ sai che il mio scopo di scrittrice è quello di riportarti a casa attraverso le tue stesse emozioni, quelle che emergono dagli angoli più insondati della tua persona.
Quindi perché, oggi, la Parolaia delle Emozioni, avrebbe deciso di cimentarsi nella scrittura e successiva pubblicazione di un articolo che, a giudicare dal titolo, ha tutta l’aria di essere un bel libretto di istruzioni?
Perché – lo scoprirai continuando a lettura – ho scelto di condividere, attraverso questo articolo, quei paletti che, mio malgrado, ho imparato a mettere alla mia innata irruenza creativa. Irruenza, proprio irruenza. Un fiume impetuoso che ogni volta mi travolge per condurmi in luoghi dai quali, poi, puntualmente, vengo ripresa e riportata nella vita reale. Quella più giusta. Ma questa è un’altra storia. Torniamo al racconto.
«Stai già lavorando ad un altro libro?» mi chiedono spesso, al termine di una presentazione (n.d.t. è di questo periodo il Book Tour di “C’è sempre una sorella preferita”).
«Sì» rispondo
«A cosa? Se è lecito chiedere.»
«Una raccolta di racconti» rispondo
– Ragazza, lo hai detto. Ora l’hai detto e non potremo più tirarci indietro lo sai, vero?
– Certo che lo so Priscilla, certo. Se solo ti sedessi a scrivere si potrebbe anche procedere su questa strada, no?
– La fai facile tu. Pensi che basti sedersi alla tastiera?
– Perché, no?
– Dai, piantala. Continua a raccontare questa storia dello scrivere un racconto.
Perché dopo un romanzo, cimentarsi nella forma del racconto? Come si può riuscire a contenere la varietà di vicende ed emozioni, che, in un romanzo – per sua natura ampio come un orizzonte – possono essere approfondite, sviscerate e guardate dalle più diverse prospettive, dicevo, come può uno scrittore riuscire a ridurre tutto questo nella lunghezza di 5,10,20 pagine, senza che la storia perde la sua forza?
Si può. Imparando e lavorando sodo per imparare.
Io ho scelto il racconto per una nuova pubblicazione poiché ho intenzione sfidarmi e mettere alla prova il mio amore per le parole, l’innato talento per la traduzione delle emozioni e dei mondi interni delle persone.
Ho pensato che se avessi scritto un altro romanzo avrei continuato a raccontare, narrare vite, ricordi, anziché permettere loro di mostrarsi per ciò che sono: invadenti, maleducate, vorticose e stravolgenti.
E come?
Facendole parlare attraverso i personaggi. Attraverso vite che sentono e impazziscono e si lasciano trasportare dai vissuti desiderati come attraversati.
Senza più narrare.
Senza più girare intorno.
Solo attraverso i personaggi che dicono e “fanno cose” mentre tu, lettore, provi emozioni e piangi e ridi e ti arrabbi leggendoli agire. Saranno però la tua rabbia, la tua gioia, la tua emozione che emergono davanti ad un racconto inghiottito, non quella che io, autore, ti ho trasmesso grazie ai miei occhi, che non sono mai i tuoi.
È una sfida importante che mi sento di affrontare per te. Per far sì che tu possa trovarti o ritrovarti, prima, o durante o forse anni dopo avermi letto.
Come penso di mettere in atto tutto questo? Creando dei punti fermi ai quali aggrapparmi quando la potenza del mare di narrare prevarrà su di me.
Non so come la vedi tu, ma, dal mio punto di vista, questi potrebbero essere dei buoni aiutanti magici:
- L’inizio (o Incipit)
- I personaggi
- Il luogo
- Il tempo
- La conclusione
Ecco, direi che chiariti questi cinque punti ci siamo assicurati un buon paracadute che può darci sicurezza nel divagare della narrazione.
1 – L’incipit.
Le prime righe di una storia sono fondamentali. È il primo contatto con il lettore. È la porta che si apre al loro cuore e non si possono accampare parole a caso sperando che una vada bene. Non è possibile fare come il protagonista della più classiche delle scene da film horror/thriller/poliziesco in cui lo si vede correre spaventato verso casa, inseguito da una presenza oscura, ignota, e giunto, cerca con disperazione la chiave per entrare e non la trova – ma come non la trova? È casa sua in fin dei conti e non la trova? No non la trova mai, il respiro è sempre più affannoso e la porta rimane chiusa.
Ecco, no. L’incipit del racconto è la chiave che aprirà l’antro privato del lettore. Un antro privilegiato e non si può abbozzare, no, le parole sono importanti, devono essere rispettose e caute, ma anche vere e potenti, per far sì che lui, anche se ancora titubante, apra l’uscio, ti guardi e dica “ok entra, ma fermiamoci un attimo qui nell’ingresso”.
Quelle parole lì sono le prime, le più belle, le più tutto quello che si ha dentro, ovvero il ponte tra l’autore e il mondo del lettore.
2 – I personaggi.
Ora, direi che su questo tema è stato scritto di tutto. Vero o meno vero non sta a me dirlo. Utile o no, fatto sta che sono i personaggi che portano al lettore il racconto di un racconto, lo rendono reale e vivo: chi sono? Come parlano? Quali sono le loro caratteristiche di persone? Come si comportano dinanzi ad un evento? Non starò qui a dire come mettere nero su bianco tutto questo ma, senz’altro, ho capito che per questa mia voglia di sfidarmi e riuscire a scatenare dentro di te l’uragano che immagino, ecco dovrò fare in modo che i miei personaggi ti guardino negli occhi e ti rispondano. Ti domandino con la loro voce e le loro parole, non le mie, le loro e le tue che risuonano, insieme. Dovrò fare in modo che entrino con me, in quell’antro, e poi nel salotto e infine – mentre tu lettore gli offri un caffè ed entrate in confidenza – sempre guardandoti negli occhi, inizino a vivere la storia che adesso è solo nella mia testa di autore. Riesci ad immaginarti la scena?
Siamo tu ed io, e poi ci sono Lorenzo e i suoi amici, oppure Federica e la sua amica Michela, che ballano nel tuo soggiorno al suono delle loro storie. Un suono fatto solo di parole: sussurrare, ordinare, annunciare, ottenere, rivelare, tutte parole che, declinate attraverso le loro labbra, porteranno te a sussultare, o sussurrare, o spifferare.
Non chiedermi come si fa: sappi solo che lo farò per te.
3 – Il luogo.
È il luogo della storia, quello in cui si svolgono i fatti. A volte può non essere così determinante, altre volte lo è al punto da influire sui personaggi, sulle loro azioni o stati d’animo.
Decidi Priscilla: dove si trovano? Quanto è importante questo dove? Come si sente Federico in questo luogo? E come si sente il lettore dinanzi al volto di Fabiana che si guarda intorno e non riconosce, o riconosce, ciò che la circonda. Descrivi quel volto e poi lascia che le parole facciano il loro lavoro dentro chi legge.
Quei personaggi non rimarranno sempre nel salotto del lettore a bere caffè, ma ad un dato momento lo prenderanno per mano e lo condurranno in quei luoghi artefici di molti fatti come di altrettanti sentimenti.
4 – Il tempo.
Ieri? Oggi? Il tempo può essere anche un non tempo, ma un tempo interiore o interiorizzato, perché è il racconto di qualcuno che siede virtualmente di fronte a te, ma in realtà vive dentro di sé un ricordo, lontano o recente, che comunque vibra e scuote.
Il tempo lo decido io per loro, i personaggi, e tu, mio caro lettore, togli l’orologio poiché, qui, non serve.
5 – La conclusione.
La parte dei saluti e dei baci. Il momento della separazione. Quello in cui ti attardi, sul tappeto del soggiorno, mani in tasca, e non vorresti mai andartene perché lì, con il tuo lettore, ci stai bene e aspetti, aspetti che ì insomma ti dica cosa ha provato e se è felice, se ha perso il fiato in una riga.
È il momento del congedo e se l’incipit ti avrebbe aperto la sua vita, la conclusione è il profumo che rimane dietro di te, la gonna che svolazza, la carezza che non si dimentica, lo sguardo rubato o mancato.
Le tue parole per lui saranno un lascito per i giorni a venire, per ciò che vorrà per sé e chiederà a te, tornando lì tra le tue parole.
La conclusione è la chiusura della storia è vero: attraverso essa si può mandare un messaggio, ristabilire un ordine o mandare in vacca tutto un mondo solo perché l’autore ha voluto dire che si può fare. In ogni caso, rappresenta il congedo, i saluti.
Scegli bene come andartene da quel salotto, Priscilla. Raccogli dal tuo campo di fiori, le parole più rispettose che hai per ringraziarlo di averti permesso di entrare.
Al netto di tutto questo – scusami se sorrido ma come si fa a fare il netto di tutto questo? – dicevo al netto di tutto questo ci sono strategie meramente tecniche che metto in atto per arginare il mondo che intendo tradurre.
- Raccolgo e organizzo le idee
- Metto a fuoco due o tre fatti
- Faccio vivere i personaggi, da soli, senza il mio intervento (e per far questo, credimi, bisogna allenarsi moltissimo)
- Trovo il mio finale
- Ricontrollo il testo
- Ricontrollo il testo
- Ricontrollo il testo
Hai detto “ricontrollo il testo” Ragazza?
Scrivere, lo si è inteso, non è una passeggiata. Scrivere un racconto è sempre un modo per narrare i propri mondi interiori, ma ogni aspetto della storia, ogni parte di indagazione non può più essere narrata nello spazio lungo di un romanzo, può invece essere lasciata emergere attraverso le bocche, le braccia e gli sguardi di chi abita quella stessa storia, i personaggi. Quelle stesse bocche, mani sguardi saranno il viatico per tutte le emozioni che sgorgheranno da cuori e pelle e occhi dei nostri lettori.
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