Dopo la scrittura

Dopo la scrittura

Fine.
E vissero tutti felici e contenti.
Chiuse la porta e seppe, per averlo vissuto, che non era finita.

 

Lettere che campeggiano sullo schermo.

Il foglio digitale al quale lo scrittore ha rubato il candore, al quale ha dato voce, la sua voce, ora è intriso di interiorità divenuta parole, spazi, margini, righe. È a questo punto che inizia un nuovo ed entusiasmante momento, quello della revisione.

Peter Selgin, docente della Gotham Writers’ Bookshop, dice che:

«Prima di decidere come revisionare, bisogna avere qualcosa da revisionare, quella che si chiama prima stesura […]. Da qualche parte ho sentito dire che la prima stesura va scritta con il cuore, mentre le stesure seguenti vanno scritte con il cervello […]. Non è un problema se la prima stesura è pessima: deve esserlo, ci si aspetta che lo sia, è quasi un obbligo. L’unica cosa importante è che sia finita.
Scrivete qualcosa, non abbiate vergogna o timore, siate indulgenti con voi stessi, scrivere quello che vi passa per la testa. Durante la prima stesura non dovete fare editing.»

 

Perché revisionare?

Perché ogni frase che è stata scritta può essere scritta meglio. L’abito che è stato cucito addosso alla propria storia può presentarsi, e senz’altro lo sarà, corto da una parte, debole da un’altra, abbondante sui lati e, invece, per arrivare all’occhio del lettore, per avvolgerlo, esso deve essere perfetto. Le parole non possono deludere le aspettative di coloro che si avvicinano a quel mondo raccolto per provare emozioni, per immaginare vite altre, per vivere profondità che, da soli, non potrebbero raggiungere. Perciò gli scrittori tagliano e cuciono senza pietà, o quasi, durante la fase di editing fino a raggiungere il risultato finale.

 

Da dove cominciare?

Prima di andare alla ricerca dei corpi estranei tra le righe, le parole, per intenderci, bisogna lasciare che la passione si plachi, che le emozioni rientrino, che l’appagamento creativo – momentaneo, certo – ci accolga e, per farlo, è necessario allontanarsi dalla propria storia, che le parole riposino, sole, senza il loro creatore che gli gira intorno come un lupo affamato di provare ancora estasi. Mettere distanza significa lasciar passare del tempo: poggiare la matita, spegnere il computer, chiudere porte e finestre di questa realtà immaginata quanto vissuta, ed andare via. Per poi tornare, un giorno, a riaprire persiane, spostare sedie, sistemare quadri, sprimacciare cuscini e, cacciavite in mano, orecchie tese, andare alla ricerca di quanto scricchiola e non regge, stringere viti, ammorbidire angoli, togliere suppellettili inutili, rimuovere la polvere.
Questo è il momento vero della revisione, in cui è possibile trovare errori, certo, ma anche espressioni più ardite, esatte, leggere per raccontare ciò che si è scelto di raccontare. Bene.
Ecco, revisioniamo per raccontare bene, per vedere se tutto fila liscio, se si è dato retta alla fretta in un punto, oppure ci si è attardati su una vicenda che, invece, non è poi così cruciale.
Ora si può rileggere e, da lì, intervenire per migliorare.

 

Che cosa guardare?

In tutta onestà, per rispondere a questa domanda potrei scrivere un altro libro ma, poi, ci vorrebbe troppo tempo e allora non sarei stata di aiuto al lettore che si avvicina a questo articolo oggi; perciò, per fala breve, posso fare due cose:

  1. rimandarti a questo articolo in cui si parla del ruolo dell’editor;
  2. condividere con te ciò che ho capito essermi utile quando mi riavvicino ad una storia per ferirla senza sentimento, al solo scopo di farle vedere la luce.

 

– Sei sicura di volerlo fare, Ragazza?
– Dobbiamo farlo, Priscilla: la tua storia lo merita e lo dobbiamo ai lettori.
– Va bene, accidenti. Dai, comincia. Prima domanda.
– L’ordine dei fatti è chiaro?
– Ok, poi?
– Ok cosa? È chiaro?
– Pensavi che ti rispondessi subito? Scherzi? Adesso prendo nota di tutto e poi, con calma, rileggerò il testo e porrò attenzione ad ogni aspetto che, secondo te, va revisionato. Dai, muoviti. Detta queste maledette domande di controllo
Due: hai tralasciato qualche spiegazione, dando per scontato che chi legge sappia quello che hai in testa solo tu?
Tre: le frasi sono scritte correttamente?
Quattro: la punteggiatura è a posto?
Cinque: ci sono delle ripetizioni? E gli avverbi, sono troppi?
Sei: i tempi verbali sono coerenti?
Sette: l’incipit è potente come dovrebbe?
Otto: la conclusione, lascia il lettore soddisfatto?
Hai scritto tutto Priscilla?
– Sì, ho preso nota di tutto. Ora però lasciami. Voglio stare sola qui con la mia storia.

 

All’inizio non è facile: si suda freddo, si soffre, si attraversa la lettura a braccetto con la convinzione che il racconto apparirà mutilato, circondato da lacerazioni, privo di sfumature per aver cancellato troppo.
Invece poi, ad un certo punto, dopo aver utilizzato cesoie e forbici, martelli e seghe a sufficienza, diviene una piacevole abitudine ricontrollare le misure e sapere che, ogni taglio, sarà necessario per rendere il flusso della lettura ancora più vero. A quel punto il lettore ci sarà grato per essere stati in grado di mostrargli, dentro, nel suo cuore, proprio ciò che desiderava ma a cui non aveva ancora dato nome.

 

 

Alessandra Ferro Newsletter

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